3.5 Intervista al prof. Luigi A. Santoro (Delegato del Rettore)
Il prof. Luigi Santoro è il Delegato del Rettore per
le fasce deboli, figura attivata dalla Legge
104/92 e dalla successiva Legge
n. 17/99 (integrazione e modifica della Legge-quadro). È responsabile
da un anno della politica complessiva nei confronti delle fasce deboli che
comprendono disabili, extracomunitari, studenti in carcere. Grazie a questo
colloquio sono venuta a conoscenza di nuovi dati, ma soprattutto ho cercato
di rilevare quali sono state le priorità stabilite dall’Università per ciò
che concerne le problematiche legate all’handicap, l’atteggiamento, lo spirito
che ha guidato ogni iniziativa. Dopo aver chiarito il proprio ruolo all’interno
del Centro per l’Integrazione e aver illustrato gli strumenti con cui il
servizio si presenta agli studenti, è stato affrontato il tema delle barriere
architettoniche. La mia domanda è stata la seguente: “Avete elaborato un
piano per l’eliminazione delle barriere architettoniche?” Intervistato:
“Si, finalmente siamo arrivati. Proprio in questi giorni sono stati
realizzati scivoli e rampe un po’ dappertutto. Naturalmente ci sono grosse
difficoltà per quanto riguarda i palazzi storici, quelli tipo gli Olivetani,
dove non è possibile purtroppo fare degli interventi di tipo strutturale;
questo è un grosso problema però è stata una scelta fatta qualche anno fa
dall’Università di acquisire questi palazzi storici dopo il restauro. Purtroppo
il restauro è conservativo, ma è giusto così….per cui i due diritti si scontrano.
Stiamo cercando comunque di trovare delle soluzioni, ad esempio con delle
rampe mobili”. Intervistatore: “Dunque, tranne gli Olivetani, tutte
le altre strutture universitarie sono accessibili?” Il prof. Santoro: “Questo
no. Per esempio non si può andare nel piano superiore del Codacci-Pisanelli
dove c’è tra l’altro il Rettorato e gli uffici più importanti e questi sono
problemi che bisogna affrontare”. L’Università di Lecce, quindi, non
ha ancora risolto il problema delle barriere architettoniche. Sicuramente
si è provveduto a risolvere i disagi più grossi, però da quello che mi è
stato riferito dagli studenti che ho incontrato e da quello che io stessa
ho potuto osservare ci sono edifici ritenuti accessibili a tutti ma che
poi effettivamente non lo sono, perché presentano ancora piccoli ostacoli
che comunque non vanno sottovalutati. Ciò che stupisce è che ad esempio
il palazzo degli Olivetani, aperto a tutti il 24 maggio 1994 (secondo quanto
mi è stato riferito dal Delegato per l’Edilizia) sia stato acquistato quando
ormai la Legge-quadro era già entrata in vigore. Tale Legge impone
che il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia e del certificato
di agibilità e di abitabilità, per opere riguardanti edifici pubblici o
aperti al pubblico sia condizionato all’accertamento, da parte della Commissione
competente, del rispetto delle norme vigenti in tema di barriere architettoniche[28].
Intervistatore: “Oltre alle barriere architettoniche, sono presenti anche
quelle psicologiche e sociali. Ci sono stati degli interventi a questo proposito?”
Intervistato: “Questo era un programma di iniziative che aveva varato
la prof.ssa Gelli e che si è rivelato non molto positivo, nel senso che
sia il personale non docente che quello docente ha partecipato con scarsa
affluenza”. Intervistatore: “In cosa consistevano questi incontri?”.
Intervistato: “Erano degli incontri che venivano fatti per raccontare,
per spiegare le iniziative del Centro. Io direi che ci sono due situazioni
da chiarire: non è assolutamente vero che esista più sensibilità nelle Facoltà
umanistiche e comunque i problemi esistono sia che si tratti di scienziati
o umanisti. La seconda cosa da chiarire è che la sensibilizzazione non si
crea attraverso la chiacchierata, ma attraverso la compartecipazione e attraverso
la presa di coscienza da parte di tutti che i servizi fatti per i disabili
poi sono utili anche alle persone non disabili. Questo credo che sia l’aspetto
più interessante, più positivo”. Intervistatore: “E per quanto riguarda
gli altri studenti?”. Intervistato: “Devo dire che non ci sono grossi
problemi, gli studenti sono molto disponibili, ci sono state centinaia di
risposte positive a quella nostra domanda all’atto dell’iscrizione. Io vedo
una sensibilità straordinaria, sono stati fatti dei grossi passi in avanti.
Queste non sono cose che si creano dalla sera alla mattina, è un lavoro
lungo, è il risultato anche del lavoro che è stato fatto nelle scuole. Questo
mi fa essere molto contento”. Un’altra domanda che è stata posta è
la seguente: “Ci possono essere dei casi in cui adeguare la didattica diventa
indispensabile. In questa Università è accaduto?”. Il prof. Santoro ha risposto
così: “Non si può generalizzare un discorso di adeguamento delle metodologie
didattiche, so che in questo momento l’unica possibilità che abbiamo, pragmatica,
è quella di affrontare ogni singola situazione. Sicuramente è possibile
fare dei passi avanti attraverso le nuove tecnologie”. Grazie ai dati
che il Centro stesso mi ha fornito, ho potuto notare che su 250 studenti
disabili, 142 hanno una disabilità superiore al 66%. Probabilmente potrebbero
aver bisogno d’aiuto, ma solo la metà (70-80) si rivolge a questo servizio.
Ho chiesto al prof. Santoro come si potrebbe commentare questo dato. La
sua risposta è stata: “Non penso si tratti di diffidenza o sfiducia.
Quando i numeri sono di queste dimensioni probabilmente ci sono ragioni
diverse. Io sono propenso a credere che il rivolgersi al Centro sia dovuto
al fatto che non si è risolto il problema in precedenza. Chi lo ha già risolto
(attraverso iniziative di tipo familiare o amichevole) …anzi le dico sinceramente
che una delle cose che cerchiamo di fare è proprio questo: l’ideale per
me sarebbe che il Centro si suicidasse, nel senso che scomparisse. Noi cerchiamo
di sollecitare il più possibile la deistituzionalizzazione del sostegno,
cioè dovrebbe essere un fatto normale. Questi problemi esistono e finchè
esistono come problemi vuol dire che non siamo arrivati alla soluzione.
La diversità o le diversità ci sono perché le percepiamo come diversità”.
La scomparsa del Centro significherebbe aver risolto tutti i problemi connessi
all’handicap, quindi trovare disponibilità, un atteggiamento mentale aperto,
sensibilità presso studenti e docenti. Questa riflessione mi ha portata
a formulare un’altra domanda: “Pensa che attualmente lo studente disabile
riesca a trovare tutto questo?”. Questa è stata la risposta: “Non sempre,
anzi abbastanza di rado il docente è preparato, disposto ad ascoltare gli
studenti. Il problema è più generale, riguarda tutti gli studenti. La struttura
universitaria da un lato è anchilosata, dall’altra rischia di morire per
eccesso di modernismo finto. Se alla presenza del PC, dello scanner o della
stampante, corrispondesse un cambiamento in positivo dei rapporti tra docenti
e studenti noi oggi staremmo in vetta alla classifica…Io sono convinto che
il problema del disabile non esiste, è solo un’acutizzazione del problema
del normale. Anche per questione di numeri lo studente trova spesso disattenzione
o comunque il docente non può dedicargli molto tempo. Il problema della
disabilità in questo caso, può essere usato in senso positivo per accelerare
il cambiamento nei confronti dei docenti, delle strutture, dei tempi di
formazione e degli strumenti”. L’intervista si è conclusa
formulando la domanda: “L’Ateneo leccese, si è confrontato con altri Atenei
italiani?” Il prof. Santoro ha risposto: “Esiste un luogo che è la CNUDD
(Comitato di coordinamento nazionale dei Delegati alla disabilità) e ha
sede presso la CRUI e lì c’è un confronto di esperienze, la possibilità
di comunicare su problematiche specifiche. Io non credo che la logica del
modello sia una logica utile, semmai bisognerebbe fare il contrario. Io
credo, che la percezione della diversità sia legata a troppi fattori di
natura culturale legata alle tradizioni, anche alla conformazione geografica
di un territorio, è con questi che bisogna fare i conti e non con modelli
astratti”.
[28] L. 104/92 art. 24 comma 4.
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